Assegno divorzile
La riforma del diritto di famiglia elaborata negli anni 70 aveva riconosciuto valore al lavoro silente svolto dalle casalinghe nell’ambito della famiglia. Con il cambiamento della società nella quale le donne hanno reclamato il diritto a svolgere una attività lavorativa anche al di fuori delle mura domestiche, il conseguente cambiamento culturale era inevitabile.
Se si riconosce che anche le donne al pari degli uomini possono essere percettrici di reddito da lavoro svolto al di fuori delle mura domestiche, è conseguente affermare che di tale reddito si deve tener conto ai fini della determinazione dell’entità dell’assegno di mantenimento o addirittura ai fini del riconoscimento o meno dello stesso.
In questo nuovo assetto culturale non meraviglia la sentenza della Suprema Corte (Cassazione civile Sentenza n. 11504 del 10/05/2017) che, superando, in considerazione dell’evoluzione del costume sociale, il proprio consolidato orientamento, ha stabilito che il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile postula che il giudice cui sia rivolta la corrispondente domanda accerti che l’istante sia privo di indipendenza o autosufficienza economica (desumibile – salvo altri rilevanti indici nelle singole fattispecie – dal possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, dalle capacità e possibilità effettive di lavoro personale, dalla stabile disponibilità di una casa di abitazione), sicchè, solo ricorrendo tale condizione, potrà procedere alla relativa quantificazione avvalendosi di tutti i parametri indicati, dall’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, come sostituito dall’art. 10 della l. n. 74 del 1987 (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio.
In quest’ottica va inquadrato il cambiamento dell’orientamento giurisprudenziale che ha determinato l’abbandono del riferimento al “tenore di vita goduto in costanza di matrimonio” . Cambiamento di costume cui non può non seguire un cambiamento del diritto, sempre in ritardo nel raccogliere le istanze di cambiamento della società.
Avv. Filomena Iervolino