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Abuso dei contratti a tempo determinato

Abuso dei contratti a tempo determinato

 

Ai sensi dell’art. 36 del D. Lgs. n. 165 del 2001, come modificato dal decreto legge n. 131 convertito inlegge 166, del 14 novembre 2024, in materia di pubblico impiego, le norme poste a tutela dei diritti del lavoratore vietano la reiterazione di contratti a tempo determinato.

Sulla base di tale norma, al lavoratore viene riconosciuta una indennità risarcitoria per

l’abuso della reiterazione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, nella misura compresa tra un minimo di quattro e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo alla gravità della violazione anche in rapporto al numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto”.

Tale indennità, è normativamente riconosciuta al docente precario e fa da contraltare alla preclusione circa la possibilità di ottenere la trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato in virtù del divieto posto dall’art. 36 – Corte costituzionale, sent. n. 98 del 2003 .

Residua, pertanto, a favore del docente precario, in caso di abuso dello strumento del contratto a tempo determinato da parte dell’amministrazione pubblica la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni subiti, per la cui determinazione si deve prescindere dalla prova concreta di un danno, sotto forma di indennità forfetizzata e onnicomprensiva (vedi : Cass. civ., Sez. lavoro, Ord. 24/07/2024, n.20599)

Prima dell’intervento normativo che ha istituzionalizzato il diritto all’indennità risarcitoria, quantificandola da un minimo di 4 mensilità a un massimo di 24, alla medesima conclusione era già giunta la Corte Cassazione a Sezioni Unitecon la sentenza n. 5072 del 15 marzo 2016.

Quest’ultima, in tale arresto, ha ritenuto che l’unico modo per garantire una interpretazione delle norme di diritto interno coerenti con l’ordinamento comunitario è quella di favorire l’effettività della tutela del lavoratore precario attraverso una presunzione del danno subito.

Infatti, se si ponesse a carico del docente precario, il difficile onere probatorio del danno concreto subito a seguito della reiterazione dei contratti (perdita di chance), non si offrirebbe una reale tutela come richiesto dall’ordinamento comunitario e dalla Corte di Giustizia europea.

Come anticipato, la recente modifica dell’art. 36, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001 ha contemplato un’indennità forfettizzata compresa tra un minimo ed un massimo;

Orbene, le amministrazioni pubbliche, per le esigenze connesse “con il proprio fabbisogno ordinario devono assumere esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato” pertanto possono stipulare i contratti a tempo determinato soltanto per comprovate esigenze di carattere “esclusivamente temporaneo o eccezionale”.

Ne consegue che a fronte della contestazione del lavoratore del ricorso a più contratti a termine, spetta alla P.A. interessata dimostrare l’esistenza di siffatte “esigenze temporanee ed eccezionali“( Civile ord 1727/2023).

Resta fermo il limite invalicabile all’uso del contratto di lavoro a tempo determinato per un periodo non superiore a 36 mesi come sancito dal diritto comunitario .

Il superamento di tale limite temporale, costituisce, ex lege ed ex sé, violazione di norme imperative e un abuso dello strumento del c. a tempo determinato e, pertanto, non può non dar luogo all’insorgere del diritto al riconoscimento dell’indennità risarcitoria ex novellato art. 36 d. lgs. 165/2001 in capo al docente.

Ma vi è di più. La normativa europea ha sancito un chiaro limite cui l’ordinamento interno non può spingersi : oltre i 36 mesi.

Il superamento di questo limite  determina di per sè illegittimo da parte della P.A. il ricorso al contratto a tempo determinato pur a fronte della necessità di dover procedere alla sostituzione di altro lavoratore in malattia o maternità.

E’ quanto emerso dalla ordinanza della Corte di Cassazione n. 4986 del 2023 quando ha riconosciuto a dipendente comunale l’indennità risarcitoria pur se alcuni contratti a termine erano da ricondurre a ragioni sostitutive di dipendente in maternità.

Appare evidente che l’intento della normativa comunitaria è scoraggiare la precarizzazione e lo sfruttamento dei lavoratori e pertanto porta a prescindere, una volta superata la soglia dei 36 mesi, dalle ragioni per le quali si è ricorso al contratto a termine.

Ne consegue che anche la verifica in concreto della stipula di contratto su posto vacante risulta priva di significato perché non è tale da ripristinare legittimità alla condotta della P.A..

In ordine all’entità del danno da risarcire 

Il lavoratore, che ha reso una prestazione lavorativa a termine in una situazione di ipotizzata illegittimità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro o, più in generale, di abuso del ricorso a tale fattispecie contrattuale, essenzialmente in ipotesi di proroga, rinnovo o ripetuta reiterazione contra legem, subisce gli effetti pregiudizievoli che, come danno patrimoniale, possono variamente configurarsi”.

Le energie lavorative del dipendente sarebbero state liberate verso altri impieghi possibili ed in ipotesi verso un impiego alternativo a tempo indeterminato.

Il lavoratore che subisce l’illegittima apposizione del termine o, più in particolare, l’abuso della successione di contratti a termine, rimane confinato in una situazione di precarizzazione e perde la chance.

Le chance di conseguire, con percorso alternativo, l’assunzione mediante concorso nel pubblico impiego o la costituzione di un ordinario rapporto di lavoro privatistico a tempo indeterminato”.

La prova di perdita di chance tuttavia deve presumersi in quanto la Corte Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 5072 del 15 marzo 2016  ha ritenuto che il rafforzamento della tutela del lavoratore pubblico, quale richiesta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, consiste in una agevolazione della prova.

Il lavoratore deve essere esonerato dalla prova del danno nella misura in cui questo è presunto e determinato tra un minimo ed un massimo.

Ebbene la recente modifica dell’art. 36 dlgs 2001/165 ad opera della legge n. 166, del 14 novembre 2024 di conversione del decreto-legge 131, va proprio in questa direzione in quanto ha normativamente determinato l’entità della indennità ricomprendendola tra un minimo ed un massimo, lasciando al giudice solo la discrezionalità di stabilirne la misura entro tale range in base alla gravità della violazione che si determina avuto riguardo al numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto”.

Avv. Filomena Iervolino

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