1. Le Ferie
Il lavoratore che stipula un contratto di lavoro subordinato, sia esso nell’ambito del pubblico impiego, nel settore privato o nel c.d. pubbligo impiego privatizzato, ha diritto ad un periodo di ferie retribuito.
Il periodo di ferie annuali risponde allo scopo di consentire il ripristino delle energie psico-fisiche, usurate dal servizio,oltre che ad esigenze di carattere ricreativo, culturale e di vita di relazione, familiare e sociale.
Il tema di cui si occupa più spesso la giurisprudenza è se le ferie, laddove il lavoratore non ne abbia goduto, possano essere o meno monetizzate.
La questione riguarda in particolar modo il lavoratori con contrattoa termime nel pubblico impiego privatizzato.
La mometizzazione indica la possibilità o meno di sostituire il periodo di ferie non godute con la corresponsione di una indennità sostitutiva in danaro.
2. Le fonti della disciplina delle ferie.
Il diritto alle ferie annuali retribuite è previsto e disciplinato da una pluralità di fonti normative, di rango costituzionale e primario, di derivazione comunitaria, nonché da disposizioni pattizie.
Dal punto di vista costituzionale l’art. 36 comma 3 della nostra Costituzione stabilisce che:
“Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”,
trattasi pertanto di un diritto irrinunziabile.
Tra le norme di rango primario rileva l’art. 2109 c.c. il quale dispone che:
- La durata delle ferie è fissata dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità;
- Il periodo di godimento delle ferie è stabilito dal datore di lavoro che deve tener conto delle esigenze delle imprese e degli interessi del prestatore di lavoro;
- Il periodo feriale deve essere possibilmente continuativo.
Al pari dei riposi giornalieri e settimanali, anche le ferie rispondono ad una esigenza di tutela globale della personalità del lavoratore, che trova specifica conferma anche nella legge del 01/04/1981 n. 157 (di ratifica della Convenzione OIL 24/06/1970 n. 132).
Inoltre L’art. 10 del dlgs 8 aprile 2003 n. 66 mantiene salve le previsioni dell’art. 2109 c.c. stabilendo che il prestatore di lavoro ha diritto di fruire di un periodo annuale di ferie non inferiore a quattro settimane.
Per quanto riguarda la contrattazione collettiva,la stessa può prevedere condizioni di miglior favore.
Al riguardo l’art. 40 comma 4° del dlgs n. 165 del 2001 dispone che le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l’osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordimìnamenti.
Tale previsione assicura un’efficacia erga omnes del contratto collettivo del settore pubblico.
Infatti l’estensione della contrattazione ai lavoratori deriva da tale obbligo di legge e dall’obbligo di garantire la parità di tutti i dipendenti previsto dall’art. 45 comma 2° del dlgsn. 165 del 2001.
Per i singoli lavoratori, il vincolo al rispetto del contratto collettivo nazionale deriva invece dalla stipulazione del contratto individuale, attraverso il rinvio operato alla contrattazione collettiva.
Per quanto riguarda invece il diritto dell’Unione, la direttiva 2003/88 CEE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, disciplina, all’art. 7, le ferie annuali, stabilendo che queste devono essere almeno di quattro settimane.
Al paragrafo 2 stabilisce che il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da una indennità finanziaria, salvo in caso di cessazione del rapporto di lavoro.
Altra norma di derivazione comunitaria che assume rilevo è l’art. 31 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’ UE.
Per quanto riguarda invece il diritto interno con riferimento al pubblico impiego assume rilievo la disposizione prevista dal decreto legge n. 95 del 2012, che conteneva tutta una serie di disposizioni di contenimento della spesa pubblica e il cui art. 5 al comma 8° ha posto un divieto di monetizzazione delle ferie.
La norma in questione ha infatti stabilito che le ferie, i riposi ed i permessi sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi.
La norma precisa inoltre che la disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età.
Stabilisce quindi che le disposizioni normative contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore della norma del decreto.
Inoltre la violazione della disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile.
La norma in questione pone un divieto generalizzato nell’ambito del p.i. di monetizzare le ferie anche alla cessazione del rapporto di lavoro.
3. La monetizzazione delle ferie non godute
La monetizzazione delle ferie è una materia che ha visto nell’ultimo periodo una evoluzione della giurisprudenza e del diritto interno per effetto di interventi da parte della Corte di Giustizia Europea nell’applicazione di principi di derivazione euro-unitaria.
Tali interventi hanno portato ad un cambiamento radicale dei principi precedentemente applicati nel nostro ordinamento.
Come sopra chiarito il decreto legge n. 95 del 2012, all’ art. 5 al comma 8° aveva posto un divieto di monetizzazione delle ferie.
La norma citata è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale.
Quest’ultima, con sentenza 95 del 2016, ne ha dichiarato la conformità al dettato costituzionale.
Tuttavia ha fornito un’interpretazione della stessa da seguire per renderne il contenuto conforme a Costituzione.
La Corte ha chiarito che la perdita al diritto alla monetizzazione non può aversi quando il mancato godimento delle ferie sia incolpevole,cioè il divieto di corrispondere trattamenti economici sostitutivi delle ferie non godute, non si applica alle ipotesi in cui il lavoratore non abbia potuto godere delle ferie per malattia o comunque per altra causa a lui non imputabile.
La giurisprudenza immediatamente successiva alla pronuncia della Corte di Costituzionale ha quindi riconosciuto il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute ogni qualvolta la mancata fruizione delle ferie è derivata da una causa esterna che ha comportato l’interruzione del rapporto senza che il dipendente abbia avuto in precedenza la possibilità di fruire delle ferie maturate.
4. L’intervento della Corte di Giustizia Europea.
Quella sopra descritta era la situazione prima dell’intervento della Corte di giustizia sul punto con le tre sentenze della Gande Sezione del 6 novembre 2018 (in cause riunite C-569/16 e C-570/16 Stadt Wuppertal ; e in causa C-619/16 Sebastian W. Kreuziger e in causa C-684/16 Max Planck).
Le sentenze che appunto hanno poi implicato una modifica del diritto interno vertono tutte sull’interpretazione dell’art. 7 paragrafo 2 della Direttiva 2003/88 CEE.
Le decisioni della Corte stabiliscono e precisano che la norma di cui all’art. 7 ha effetto diretto .
Tale diritto è conferito direttamente dalla direttiva e non può dipendere da condizioni diverse da quelle che sono esplicitamente previste.
Le sentenze della Corte di Giustizia precisano quindi che l’art. 7 soddisfa i criteri di incondizionabilità e di sufficiente precisione per beneficiare di un effetto diretto sicché le disposizioni previste sono suscettibili di essere direttamente invocate nell’ambito di una controversia dinanzi ai giudici nazionali allo scopo di garantire piena efficacia al diritto alle ferie annuali.
Quindi è una clausola invocabile direttamente dinnanzi ai giudici nazionali.
La Corte di Giustizia affronta le questioni che vengono poste in particolare nelle cause C-619/16 Sebastian W. Kreuziger e in causa C-684/16 Max Planck che riguardano l’applicazione del diritto interno tedesco, laddove prevede la perdita del diritto all’indennità sostitutiva quando il dipendente cessi dal rapporto di lavoro senza averle prima richieste.
Al riguardo la Corte di Giustizia precisa innanzitutto che il solo fatto che, la normativa in questione, preveda una perdita automatica di tale diritto, che non sia subordinata alla previa verifica che il lavoratore abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare tale diritto, si pone in contrasto con la norma di cui all’art. 7 della direttiva più volte citata.
5. L’onere della prova nei giudizi per la monetizzazione delle ferie
L’onere, di assicurarsi dell’esercizio effettivo del diritto di godimento delle ferie, non può essere posto a carico del dipendente.
E’ il datore di lavoro che deve invece assicurarsi che i lavoratori siano messi nelle condizioni effettive di esercitare tale diritto.
Quindi è il datore di lavoro che è tenuto ad assicurarsi concretamente ed in piena trasparenza che il lavoratore sia stato posto effettivamente nelle condizioni di fruire delle ferie annuali retribuite,.
Quest’onere da parte del datore di lavoro può dirsi assolto solo se lo stesso prova:
- di aver invitato formalmente il lavoratore, nell’eventualità che questi non le abbia richieste, a fruirne ;
- di averlo informato in tempo utile, affinché le ferie possano effettivamente svolgere la funzione a cui sono dirette (quella di garantire riposo e relax),;
- di aver comunicato adeguatamente il regime delle ferie avvertendolo che se non ne fruisce, andrà a perderle nel momento della cessazione del rapporto di lavoro.
L’onere della prova incombe in capo al datore di lavoro.
Qualora questo non sia in grado di dimostrare di avere esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore venga messo nelle condizioni di fruire delle ferie annuali retribuite e dell’onere di informazione (di averlo informato), il lavoratore ha diritto alla monetizzazione delle ferie non godute.
La Corte di Giustizia ricorda, per altro, a conclusione di queste sentenze, che i giudici nazionali hanno l’obbligo di dare una interpretazione conforme ai principi enunciati e se del caso modificare anche una giurisprudenza consolidata se questa si basa su una interpretazione del diritto nazionale difforme (incompatibile con gli scopi della direttiva) rispetto a quella della direttiva ed incompatibile con gli scopi perseguiti dalla direttiva.
6. La giurisprudenza italiana
La Cassazione successiva alle pronunce della Corte di Giustizia si è subito adeguata (Cass. N. 14268/2022;Cass. n. 21780/2022; Civile Ord. Sez. L Num. 16715 Anno 2024; Civile Ord. Sez. L Num. 15415 Anno 2024; Civile Ord. Sez. L Num. 13447 Anno 2024; Civile Ord. Sez. L Num. 9859 Anno 2024; ).
In ordine al tema delle ferie maturate e non godute dal pubblico dipendente numerose sentenze della Corte di Cassazione sono state pronunciate con riferimento ai docenti precari assunti con contratto a tempo determinato.
Tale giurisprudenza ha affermato “che va operata una reinterpretazione del diritto interno in materia di ferie retribuite e della corrispondente indennità sostitutiva che si conformi ai principi enunciati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nelle tre sentenze della Gande Sezione del 6 novembre 2018 (in cause riunite C-569/16 e C-570/16 Stadt Wuppertal ; e in causa C-619/16 Sebastian W. Kreuziger e in causa C-684/16 Max Planck).
La reinterpretazione delle norme del diritto interno in conformità alle pronunce della Corte di Giustizia Europe citate porta a ritenere che “i lavoratori non possono perdere il diritto alla indennità finanziaria per le ferie non godute, senza previa verifica del fatto che il datore di lavoro li abbia effettivamente posti in condizione di esercitare il proprio diritto alla fruizione del riposo annuale, anche attraverso una informazione adeguata.
Insomma, è il datore di lavoro che deve provare di essersi assicurato che il lavoratore eserciti il diritto alla fruizione delle ferie:
1) informandolo in modo accurato ed in tempo utile del diritto al riposo, garantendo in tal modo che esso risponda all’effettivo scopo cui è preposto, quello di apportare all’interessato riposo e relax;
2) invitandolo, se necessario formalmente, al godimento delle ferie medesime;
3) avvertendolo del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato”.
Una reinterpretazione siffatta delle norme di diritto interno si coordina anche con la pronuncia della Corte Costituzionale n. 95 del 2016, che si è espressa sulla legittimità costituzionale dell’art. 5, co. 8, d.l. 95/2012, conv., con mod. in L. 135/2012 .
La Corte ha infatti ritenuto che la legge non fosse costituzionalmente illegittima, in quanto da interpretare nel senso che la perdita del diritto alla monetizzazione non può aversi allorquando il mancato godimento delle ferie sia incolpevole, non solo perché dovuto ad eventi imprevedibili non dovuti alla volontà del lavoratore, ma anche quando ad essere chiamata in causa sia la «capacità organizzativa del datore di lavoro»-
Il datore di lavoro deve dunque dimostrare di avere esercitato i propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitando il lavoratore a fruire delle ferie e di avere assicurato altresì che l’organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il lavoratore era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento» (C. 18140/2022).
Avv. Filomena Iervolino